Vincenzo Bellini a Giuditta Cantù Turina, in Venezia, 20 gennaio 1830
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Lettera in buone condizioni fisiche, composta da un solo folio, piegato in più parti e con testo sia sul recto che sul verso. Carta sottile con filigrana, colore beige, inchiostro nero. La parte inferiore del verso presenta l’indirizzo, il timbro di partenza e sigillo in ceralacca
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Transcription by
Graziella Seminara
Digital edition project coordineted byAngelo Mario Del Grosso,
Daria Spampinato.
Encoding byGianmarco Di Mauro.
Mia cara amica
Ieri finalmente ho ricevuto vrevostre notizie
per mezzo del Dottor maggiore e mi spiace sen
tire il vrovostro incommodoincomodo che spero a quest'ora sparito.
La lettera è in data del 10: e vedete quanti gior
ni è stata in viaggio.
- Di già si è risoluto jerseraiersera
con la venuta di Romani, che io devo scrivere l'opera
per andare in scena almeno il 5: marzo: vedete che
strozzamento ed avete avuto ragione a farmi sgri
dare dal dottore; ma adesso che lo devo senza ri
medio ho bisogno di incoragiamentoincoraggiamento, e quindi vi
prego di non abbandonarmi coi vrivostri consigli e
spesso: ciò vi basta, e voi sapete se mi sono
le vrevostre spesse nuove: egualmente ho
pregato la Pollini e Florimo, ed aspetto a
vedere chi sarà la più pietosa.
- Se vole
te che i baicoli ve li mandi con la diligenza,
avvisatemelo.
- Vi contenterete da qui innanzi
di quel poco che potrò scrivervi, sebbene di spesso,
e ciò lo condonerete al gran ristretto tempo.
Fate
le mie parti con tutti di casa e ringraziate il
Dottore da mia parte.
Gli abbr:ciabbracci a Ferdinando e voi
ricevete i miei bacia-manobaciamano e credetemi sempre
il vrovostro affssmoaffezionatissimo
Bellini
Florimo vi saluta.
Venezia
Madame
Madame Judith Turina
Cremone por Casalbuttano
VI
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Giuditta Cantù (Milano1803-1871) era figlia di un agiato commerciante e della nobile Carolina Sopransi. Nel 1819 aveva sposato il facoltoso imprenditore Ferdinando Turina (Casalbuttano, 1795-Milano, 1869), dal quale non aveva avuto figli.
Giuditta Cantù (Milano1803-1871). Figlia di Giuseppe Cantù, un agiato commerciante, e della nobile Carolina Sopransi, nel 1819 sposò Ferdinando Turina, dal quale non ebbe figli. Conobbe Bellini nell’aprile del 1828, in occasione dell’inaugurazione del Teatro Carlo Felice di Genova con l'opera Bianca e Fernando, e iniziò con lui una relazione sentimentale che sarebbe durata fino alla partenza del musicista per Londra nell’aprile del 1833. A lei Bellini dedicò la «Gran Scena ed aria finale “Deh non ferir, ah, sentimi”» dell’opera Bianca e Fernando.
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Francesco Florimo (San Giorgio Morgeto, 1800-Napoli, 1888) fu condiscepolo di Bellini al Collegio di San Sebastiano e destinatario privilegiato delle missive del compositore di Catania. Nel 1826 subentrò a Giuseppe Sigismondo nella direzione della biblioteca del Conservatorio di Napoli, trasferito proprio in quell’anno nella nuova sede di San Pietro a Majella. Dopo la morte prematura di Bellini, decise di dedicare la propria vita alla memoria dell’amico: nel 1882 pubblicò la monografia Bellini. Memorie e lettere (Firenze, Barbèra); nel 1878 coinvolse alcuni tra i massimi musicisti del tempo (Cajkovskij Hiller Liszt Rubinstein Cesi Martucci Rendano Sgambati) per la realizzazione di un Album per pianoforte dedicato a Bellini, che venne pubblicato a Napoli dalla Società Musicale Industriale (e quindi a Milano nel 1884 dallo Stabilimento Musicale Ricordi); nel 1886 inaugurò a Napoli un monumento a Bellini, realizzato dallo scultore Alfonso Balzico e finanziato con una pubblica sottoscrizione, alla quale aderirono numerose personalità italiane ed europee.
Ferdinando Turina (Casalbuttano, 1795-Milano, 1869). Facoltoso imprenditore impegnato nella produzione e nel commercio della seta, era marito di Giuditta Giuditta Cantù. Definito da Bellini «Ferdinando l’impassibile» (lettera a Giuditta dell’11 gennaio 1830), nel 1833 divorziò dalla moglie.
Casalbuttano era una ridente cittadina del cremonese, dove risiedevano Ferdinando e Giuditta Turina. Bellini fu spesso ospite del loro palazzo, sito in Contrada Maggiore.
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I baicoli sono biscotti secchi tipici della pasticceria veneziana; il loro nome deriva dalla denominazione dialettale dei piccoli branzini di laguna, dei quali è riprodotta la forma allungata e lievemente schiacciata.